15 dic 2015

UN VIAGGIO POLITICO NEL CUORE DELLA GUERRA

di Marilena Pecoraro

Riprendendo l’articolo di Federico Florian pubblicato nella  rivista  KLAT  a proposito del Padiglione di Israele alla Biennale di Venezia del 2013, Diario #14, introduciamo il lavoro di Gilad Ratman, The Workshop 2013. Ci sembra interessante, come fa Florian,  iniziare con la citazione da Le città invisibili di Italo Calvino (VIII capitolo: Le città e i morti, 4), cove si parla una città, Argia, completamente scavata nella terra.

«Ciò che fa Argia diversa dalle altre città è che invece d’aria ha terra. Le vie sono completamente interrate, le stanze sono piene d’argilla fino al soffitto, sulle scale si posa un’altra scala in negativo, sopra i tetti delle case gravano strati di terreno roccioso come cieli con le nuvole. Se gli abitanti possono girare per la città allargando i cunicoli dei vermi e le fessure in cui s’insinuano le radici, non lo sappiamo: l’umidità sfascia i corpi e lascia loro poche forze; conviene che restino fermi e distesi, tanto è buio».



Scrive infatti Federico Florian che l’opera presentata dell’artista israeliano  Gilad Ratman per la Biennale di Venezia  2013 consiste in   una spedizione di persone che partendo da Israele attraverso un tunnel scavato nel sottosuolo della terra raggiungono Venezia  per partecipare ad un workshop di scultura .
(...) L'artista stesso racconta una storia bizzarra e paradossale. La sua installazione, intitolata The Workshop, è composta da video, sculture d’argilla e da un impianto mixer. Non appena si varca la soglia del Padiglione,  una melodia cupa, cavernosa che avvolge il visitatore – pare emergere dalle profondità del cratere scavato nel mezzo - riporta i suoni e i rumori della terra ….
(...) Urla e lamenti strazianti prorompono nella stanza, in un crescendo che avviluppa le pareti. Ora, il fragore stridente di una conflagrazione, e poi il silenzio.

 I video illustrano le diverse fasi della spedizione: la partenza della compagnia nelle caverne d’Israele,  il percorso sotterraneo attraverso il Medio Oriente e l’Europa e,  infine, l’arrivo a Venezia e l’inizio del workshop. Quest’ultimo, in particolare,  consiste in un laboratorio di lavorazione dell’argilla. Ciascun componente del gruppo modella un proprio autoritratto scultoreo: la creta viene plasmata con ardore e brutalità....(...)  Nelle sculture sono impiantati dei microfoni, che registrano le grida e i muggiti degli esecutori – il workshop sembra un primitivo rituale dionisiaco.





Un DJ, al piano inferiore, mixa i lamenti provenienti dalle "protesi audio": è così che viene elaborata la musica che accoglie i visitatori del padiglione – una nenia sinistra, dolorosa, che rimanda a una dimensione primigenia, precedente a qualsiasi civiltà. L’installazione di Ratman – irrazionale, vitale, arcaica – rivela una profonda connotazione politica: riflette sul senso di confine e frontiera nazionale; mette in scena un’utopia, quella della libera circolazione tra le nazioni, resa possibile da un’immaginaria rete di canali sotterranei in grado di connettere segretamente l’intera superficie terrestre. Un modello, dunque, che guarda nostalgicamente a un originale stato di natura in cui non esistono entità politiche differenziate. 






L’artista, indubbiamente, allude a una situazione particolare e a lui vicina: i tunnel del contrabbando di Gaza, la “zona calda” del Medio Oriente, l’insanabile conflitto tra Israele e Palestina. Un conflitto che soltanto il sogno e l’utopia possono appianare.

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