27 giu 2016

#10 VIAGGIO RELATIVO TRA TEMPO E SPAZIO, seconda parte

di Roberta Baldaro 

Lo spazio e il tempo sono questioni relative e per attraversarle occorre considerare infinite sfaccettature e variabili, come lo sono i linguaggi e i punti di vista, per questo preferisco riportare l’opera di autori diversi come diversi sono i parametri da considerare.




















Georges Perec “Specie di spazi(libro, 1974)
L’esplorazione dello spazio inizia da un rettangolo bianco, il foglio di carta su cui scrivere un libro, esplorandone ogni margine e confine, finché non si sconfini sulla scrivania, che è al centro di una stanza, che si trova dentro una casa, in una via del quartiere, nella città di Parigi, in Francia, dentro i suoi confini… ma cosa sono i confini? Lo spazio sono “Specie di spazi”.
 https://antoniobux.wordpress.com/2013/02/28/georges-perec-alcuni-testi-tratti-da-specie-di-spazi-ed-bollati-boringhieri/












Marina Abramovic e Ulay “Imponderabilia(performance, 1977)
I due artisti nudi invitano i visitatori a varcare la soglia di una galleria attraversando lo spazio ristretto tra i due corpi. Il visitatore è parte attiva della performance, diventa attore ed elemento indispensabile perché essa si realizzi completamente. Il corpo, la pelle come confine del mio spazio e dell’altrui. Limite invalicabile o soglia attraversabile, e la nudità pone un’ulteriore linea di confine tra il dentro e il fuori, tra il pubblico e il privato.
https://www.youtube.com/watch?v=UDM7WJxbXNY






Studio Azzurro “Il nuotatore (va troppo spesso ad Heidelberg)(videoambiente, 1984)
“Apparentemente tutto sembra in quiete: un’atmosfera azzurrata, una musica avvolgente, accoglie lo spettatore. I monitor, accostati l’un all’altro, sono attraversati dalle bracciate ripetute e affaticate di un nuotatore, che si sposta da uno schermo all’altro instancabilmente. L’installazione è stata realizzata con dodici videocamere fissate sul bordo di una piscina a pelo d’acqua. Mostra un nuotatore che, con gesti ripetuti e affaticati, “attraversa” i singoli televisori accostati, cento microeventi si inseriscono nella scena principale, rimanendo rilegati nei singoli schermi. È proprio in questa alternanza di eventi che si verifica la prima partecipazione diretta dello spettatore nei confronti dell’installazione che caratterizzerà il lavoro di Studio Azzurro.”
Installazione sincronizzata con tredici programmi video, dodici videocamere, dodici monitor, un nuotatore.
https://www.youtube.com/watch?v=xn6stTGqYEM














Zbigniew Rybczynski (Zibig) “Tango(videoarte monocanale, 1980)
“Una stanza deserta: arredamento essenziale, una finestra aperta su un mondo che non si vede. Da quella finestra arriva una palla. Un bambino entra per prenderla ed esce da dove è arrivato. Rientra di nuovo il pallone, a seguito il medesimo bambino che compie gli stessi identici gesti. Questa volta però dalla porta entra una donna che si siede e allatta un neonato, incurante dell’altra presenza. Si alza ed esce. La scena si ripropone: azione reiterate, stessi personaggi. Palla, bimbo, donna con neonato, in questo caso si aggiunge un uomo che entra dalla finestra e furtivamente si appropria di una valigia ed esce anche lui di scena. Sono gesti che saranno ripetuti meccanicamente per innumerevoli volte ed ogni volta si aggiungerà un nuovo personaggio destinato a ribadire ciclicamente la stessa azione, ognuno di loro chiuso nel proprio mondo, nella propria storia.” Lo spazio può esser condiviso, sovrapposto, molteplice, replicabile, sovrapponibile, interminabile, anche se racchiuso dentro una stanza. La tecnica usata per realizzare questo film è il videomaking, un complesso e delicato procedimento di ritaglio e collage di pellicole cinematografiche, e valse a Zibig il Premio Oscar per il miglior film d’animazione nel 1983.
https://vimeo.com/90339479













Andros Zins-Browne “The host(performance/ teatro-danza, 2010)
Una lotta tra uomo-natura, in cui 3 cowboy cavalcano un solo instabile. Il territorio come cavallo da domare e addomesticare, mobile e pericoloso: un grande set che cambia la sua natura in un continuo rigonfiamento dato da palloni aerostatici, il suolo diventa modellabile e al tempo stesso continuamente in divenire. L’uomo ostinato e irruento con la sua voglia di conquista e lo spazio, che non sempre si lascia conquistare.
https://www.youtube.com/watch?v=txU1tK1YylE
















Pino Musi “Hybris” (progetto fotografico, 2009)
“Nella cultura classica il peccato di hybris si inquadrava in una sorta di insubordinazione dellʼuomo alla divinità, oggi rivela tutta lʼansia dellʼuomo contemporaneo nei confronti di un rischio, prima ventilato e poi pienamente palesato, di perdere titolarità nei confronti del proprio destino. In questo progetto Il tentativo è di “mettere in luce” il tempo sospeso della speranza, dove l'accadimento sviluppatosi subito prima lascia traccia tangibile di sé, ma non determina forzatamente nessuna progressione successiva. Resta congelato nel suo scenario. Il metodo di ripresa si è basato su una rigorosa progettualità: gli scatti sono stati effettuati in tre sale operatorie del sud Italia con una camera di grande formato posta su cavalletto, esattamente 5 minuti dopo il termine degli interventi chirurgici e l’uscita del paziente, e 10 minuti prima che gli infermieri rimettessero in ordine la sala per l’intervento successivo. La possibilità, in quel lasso di tempo, è stata di una sola inquadratura. La scelta del bianco/nero ha poi permesso di occultare ogni riconoscibilità evidente degli elementi di più facile spettacolarità (sangue, tracce del combattimento), evitando sottolineature visive. Tutto è cominciato alle 08:08 del 21 marzo per terminare alle 09:00 del 27 marzo 2009.” L’attimo dopo, dopo che la vita o la morte hanno convissuto entro lo stesso spazio, in quell’attimo dello scatto è condensato tutto un mondo.
http://www.pinomusi.com/hybris_2009-p11764














Chris Marker “La jetée” (film fotografico, 1962)
Film fotografico, o meglio montaggio filmico di immagini fisse, in assenza di dialoghi e con una voce fuori campo che narra una storia. Basta una ricca sequenza di fotografie dall’atmosfera poetica e talvolta sconcertante, per narrare una storia senza far sentire troppo la mancanza del flusso continuo delle immagini, come accade su pellicola. Tra una foto e l’altra, il tempo e lo spazio vengono colmati dallo spettatore, che fonde i momenti separati in un unico corpo filmico.
https://www.youtube.com/watch?v=6anMLFwHFqs











Jessica Hausner “Lourdes(film, 2009)
Con severa bellezza offre una serie di inquadrature spoglie quanto efficacissime di un mondo di fede o disperazione, arrendevolezza o caparbietà, in bilico tra religione e smaccata commercializzazione del dolore. Cosa scatena un miracolo? Gioia e stupore o invidia, scetticismo e buonismo di facciata? È di fronte ad un tema così delicato o ad un faccenda così spinosa, che la regista ci lascia, ci abbandona a reggere una scena, l’ultima, lunghissima e insopportabile, l’epilogo struggente (per tristezza o per rabbia, non saprei) di una vicenda personale. Quel tempo è infinito e insostenibile, ma al contempo utile (alla regista) e fondamentale (per lo spettatore) per l’attraversamento della vicenda narrata.
https://www.youtube.com/watch?v=PZAahsGVB0U













Christian Marclay “The clock(film/videoarte, 2010)
Collage di pellicole cinematografiche che, attraverso il montaggio di centinaia di film e telefilm, scorre sullo schermo per 24 ore. Le sequenze sono montate in maniera tale da scandire ogni minuto della giornata, a volte persino i secondi. Il film scorre in tempo reale: in qualsiasi minuto della giornata capiti di visitare l’opera in mostra, le ore sullo schermo corrisponderanno all’ora reale. Leone d’oro alla 54^ Biennale di Venezia.
https://www.youtube.com/watch?v=xp4EUryS6ac
https://www.youtube.com/watch?v=6cOhWtyXGXQ

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