21 dic 2016

ABITARE #1. ABITARE É TIPICAMENTE UMANO

di Marilena Pecoraro

Da Abitate dalla Parola, tracciamo sentieri di speranza nella rete, Mons. Domenico Pompili : 

"Abitare è tipicamente umano. Solo gli esseri umani “abitano”. Come scriveva Ivan Illich. “In numerose lingue,'vivere’ è sinonimo di ‘abitare’. Chiedere ‘dove vivi?’ significa chiedere qual è il luogo dove la tua esistenza quotidiana forma il mondo. Dimmi come abiti e ti dirò chi sei” (Illich 1992, pp. 53-62).
Abitare significa dare forma al mondo, “essere presenti nelle proprie tracce, lasciare che la vita quotidiana iscriva la trama della propria biografia nel paesaggio” (ivi)
Nel suo senso autentico, pienamente umano, abitare ha dunque a che fare con la questione del senso, dell’identità, della relazione.
Abitare significa quindi assumere abitudini e abitare un certo luogo (un habitat appunto) comporta la produzione o l’adozione di abitudini locali. Le abitudini si formano dalle nostre interazioni con l’ambiente che ci circonda, mediante loro noi abitiamo il mondo. Si innesca così uno stretto legame tra luoghi, corpi e costumi la cui intersezione dà vita all’identità stessa". http://www.ehabitat.it/2014/03/18/

Definizione di paesaggio 
L’etimologia del termine italiano “paesaggio” rimanda a “paese” e traduce, in parte tradendo le declinazioni originarie inglese e francese “landscape” e “paysage”. Ma, nonostante gli accenti diversi nelle diverse lingue, il termine paesaggio lega indissolubilmente “uomo” e “territorio”. L’uomo e la sua interazione con la realtà  sono il paesaggio. Senza l’uomo, la materia naturale, minerale e organica, non può che essere indifferente a se stessa se non nei limiti della coscienza del mondo animale. 
                   
                                                                 

    HafenCity-Hamburg-Germania-2011
                                                                               
Foto Andrea Bosio    

    
                        

 IN  PROGETTARE I LUOGHI DELL’IDENTITÀ COMUNE, testo di Vincenzo Ariu, si indaga il concetto di identità collettiva – un’identità oggi più che mai eterogenea, ibridata, complessa, ricca – nel suo rapporto con il paesaggio. A illustrare il testo alcune immagini – realizzate da Andrea Bosio in spazi pubblici di diverse città città europee – nelle quali la contaminazione, l’ibridazione tra stili, tradizioni, passato e presente determina i luoghi e di riflesso rappresenta l’identità di comunità in continuo divenire.
http://www.abitare.it/it/architettura/2011/07/25/progettare-i-luoghi-dellidentita-comune/
                     

Identità personale, Grenoble, Francia,
Foto A. Bosio 
                                                                         
Identità collettiva, Altona Fishing Port,
Hamburg, Germania, 2011, Foto A.Bosio
                                                                                               

Identità ibrida
HafenCity-Hamburg-Germania-2011
foto A. Bosio
Identità Ibrida
Museo dell’ Ara Pacis –Roma- 2010
Foto A. Bosio



Mente, corpo e spazio
Uno spunto dal serial Gomorra per riflettere sul rapporto tra ambienti e comportamenti. All’estremo degrado si può reagire con l’architettura.
http://magazine.larchitetto.it/luglio-agosto-2016/gli-argomenti/attualita/mente-corpo-e-spazio.html


 
                    
   Scena del serial Gomorra ambientato alle Vele di Scampia. Foto Emanuela Scarpa
https://www.youtube.com/watch?v=FsMnW43n3AI


Possiamo ricordare Gomorra ispirato al libro di Roberto Saviano o i recenti film Jeeg Robot e Suburra. A seguito del successo del film di Matteo Garrone nasce la  serial  Gomorra .
Vi è una differenza profonda tra la struttura di un film e quella di un serial. Il serial infatti consente allo spettatore di calarsi gradualmente nel mondo rappresentato e di viverlo con maggiore continuità di quanto possa fare una singola rappresentazione cinematografica. Da un certo punto di vista il serial consente di condividere psicologicamente le situazioni e per alcuni versi di appartenere un poco a quel mondo.
Proprio la possibilità di calarsi con maggiore intensità in un ambiente specifico spinge a osservazioni di un certo interesse anche in rapporto all’architettura.
Nelle immagini si legge sempre il rapporto tra gli ambienti e i comportamenti.
Una delle caratteristiche principali del serial Gomorra è il fatto che esso si svolga praticamente in maniera integrale in un ambiente urbano, compatto, unitario ed estremamente degradato.
Il centro di questo ambiente è rappresentato dal quartiere delle Vele di Scampia.
La scelta è la totale sovrapposizione tra personaggi, spazi e comportamenti. Il mondo delle Vele sembra determinare un “ambiente senza scampo”: come se ambiente e personaggi si appartenessero l’uno con l’altro determinando comportamenti ineluttabili. Le vele di Scampia ci appaiono come il fondale di una civiltà esausta, affogata nella sua bruttezza . 
I protagonisti, che – ricordiamolo – sono simili a tanti criminali veri, frequentano sempre e soltanto luoghi orribili e decadenti. Se poveri e disgraziati vivono in loculi bui e scrostati, se agiati (la loro ricchezza si nutre solo del male) e boriosi si creano case inverosimili, ancora più brutte delle prime nella loro squallida volgarità.http://www.rivistanatura.com/gomorra-la-grande-bruttezza/

Alcune riflessioni riguardo  questo argomento possono venire da  due libri recenti: il primo è di Antonino di Raimo Mente corpo informazione, il secondo è Extrasensi di Claudio Catalano. Catalano rende molto chiara l’idea che tra mente e spazio non vi sia una cesura, ma che in diverso modo la mente sia plastica, cioè crei il proprio spazio. Di Raimo, sviluppando il filone degli studi di Humberto Maturana e di Francisco Varela, si sofferma sulla struttura dell’embodiment e cioè sul fatto che il corpo ha traccia cognitiva e operativa del proprio spazio e crea una sorta di mappa tra mente, corpo e spazio. È il corpo che apprende, è il corpo che apprende , è il corpo che espleta passaggi cognitivi chiave tra spazio e mente.


L’OMBRA DI GOMORRA SULLE VELE DI SCAMPIA



Questo insediamento urbano ha subito negli anni dei radicali cambiamenti. Si è venuto così a creare un vero e proprio deterioramento identitario, laddove i principi basilari della dislocazione e dell’immaginario collettivo hanno coinvolto negli anni, non soltanto la struttura architettonica dal primo momento fatiscente, ma anche tutta la sua popolazione. 
Un fenomeno, quello delle Vele, che si può interpretare grazie al concetto dei non-lieux introdotto da Marc Augé ed allo sviluppo incessante di una società delle immagini descritta più volte da Jean-Jacques Wunenburger. In questo caso vige un punto d’incontro fra gli ambiti del reale e della finzione, basato su due aspetti storici attraverso i quali poter fornire le prime delucidazioni in merito: un urbanismo utopico e un deterioramento identitario.

Dopo la Seconda guerra mondiale per la più parte dei paesi occidentali si inaugura un periodo di ricostruzione che consacra il Movimento Moderno come uno dei riferimenti maggiori. Il complesso delle Vele è progettato dall’architetto Franz Di Salvo nel 1962 a cavallo della legge 167 che favorisce l’acquisizione di aeree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare e sulla scia dell’Unité de Habitation di Le Corbusier. Di Salvo sceglie la formula della macrostruttura, già utilizzata dagli anni sessanta e fino al 1975 lavora alla costruzione di un complesso urbano situato al Nord di Napoli, nel quartiere di Scampia. Costituito da: sette edifici a forma di vela che sono comprendenti di 6453 stanze e 1192 alloggi per 6500 abitanti. Il progetto iniziale prevede un’organizzazione tale da far entrare in relazione i vari abitanti e creare dei fulcri di condivisione.

 Ogni edificio è connesso da passerelle, Di Salvo prevede anche uno spazio verde di 700 metri quadrati dove in seguito edificare scuole, centri commerciali o culturali. Purtroppo il benessere previsto per una fascia medio-popolare svanisce in pochi anni. L’Italia meridionale e la Campania sono colpite dal terremoto dell’Irpinia nel 1980, il complesso delle Vele subisce di lì a poco uno stravolgimento. La municipalità decide di dare alloggio a una parte degli abitanti dei quartieri storici (San Carlo all’Arena, la Sanità e San Giovanni a Teduccio) sradicandoli dai propri riferimenti sociali e collettivi. L’arrivo in un luogo privo d’identità e di ogni necessità primaria come l’acqua, la luce e il gas ha rafforzato il trauma iniziale che ha contraddistinto la popolazione per decenni. Un totale flop quello delle Vele che prevedeva l’entrata di luce naturale dalle fessure laterali degli edifici e che in seguito sono state chiuse. L’utilizzo spasmodico di cemento armato laddove previsti altri tipi di materiali e il mancato funzionamento degli ascensori ha incrementato non da poco un malessere collettivo che ha preso il sopravvento sul benessere sperato. Un’utopia architettonica quella delle Vele che si è manifestata concretamente con l’abbattimento, fra il 1997 e il 2003, di tre edifici del complesso. L’omogeneità sociale tanto sperata da Di Salvo si volatilizza negli anni, provocando una degradazione identitaria. 
http://mimesis-scenari.it/2016/04/20/lombra-di-gomorra-sulle-vele-di-scampia/
Quello delle Vele di Scampia  è uno dei tanti esempi accaduti sulla scia del lavoro di Le Corbusier in  Francia, dell’Unité de Habitation  e di Alison e Peter  Smithson in Gran Bretagna e di Kenzo Tange in Giappone – una soluzione per dare risposte alle richieste abitative, per creare strutture funzionali e per dare forma a una alternativa alla città tradizionale. In Italia oltre alle Vele si realizzarono macrostrutture abitative, tra cui le più note sono Rozzol Melara a Trieste, Forte Quezi a Genova , il Corviale a Roma e  lo Zen 2 di Palermo.


 Come si può evincere dall’ inchiesta condotta  dalle Iene:
http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/185057/lucci-l-architettura-dello-zen.html

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