25 apr 2017

ABITARE #4. DENTRO/FUORI, la casa di Gregor Schneider

LA CASA DELLA FAMIGLIA SCHNEIDER

"Il tempo sembra passare. Il mondo accade, gli attimi si svolgono, e tu ti fermi a guardare un ragno attaccato alla ragnatela. C'è una luce nitida, un senso di cose delineate con precisione, strisce di lucentezza liquida sulla baia. In una giornata chiara e luminosa dopo un temporale, quando la più piccola delle foglie cadute è trafitta di consapevolezza , tu sai con maggior sicurezza chi sei. Nel rumore del vento tra i pini, il mondo viene alla luce, in modo irreversibile , e il ragno resta attaccato alla ragnatela agitata dal vento".  Da Body art, di Don De Lillo, 2001



La Haus ur, nella cittadina tedesca di Rheydt, rappresenta il lavoro fondamentale  in cui Gregor Schneider, artista tedesco classe '69, ha concentrato la sua ossessione  per lo spazio chiuso, la cella domestica  della famiglia. Qui, dal 1985, in una casa presa in affitto, l'artista ha ricostruito  la sua casa di famiglia (lui era nato a Colonia), realizzando, cancellando e  cambiando continuamente muri, tunnel, scale, stanze e antistanze, corridoi e soffitte claustrofobiche inaccessibili. Successivamente, invitato nel 2001 alla Biennale Arte di Venezia, Schneider ha occupato l'intero spazio del padiglione della Germania ai Giardini,  trasportandovi una parte consistente  della Casa ur, che è divenuta in quell'occasione la Totes Haus Ur  ( La tua casa morta), un contenitore senza  aperture verso il mondo esterno, poiché porte e finestre erano murate. Entrare dentro quest'opera era un'esperienza inquietante e angosciante, da intrusi: un casa bianca e polverosa dove si intuiva che qualcuno non poteva abitare poiché tutto faceva pensare al ricordo, alla memoria, ma non di qualcosa di reale, bensì di finto,  mai vissuto, doppio morto di qualcosa'altro. Una casa da cui sembrava impossibile uscire. Dunque un tentativo di doppio impossibile, autoestinto.




 Nello  stesso tempo ha realizzato gli Amateur Videos, video che riprendevano laboriose visite agli interstizi e ai vuoti nascosti della Haus u r, in cui l’artista sembra vivere l’esperienza di ciò che dall’esperienza viene escluso – come se fosse qualcun altro, non la persona che ha costruito la Haus u r, come se fosse un altro da sé. Vedi i video:  http://www.gregor-schneider.de/video.htm
Con quest'opera Schneider  ha vinto il Leone d'oro a Venezia nel 2001. Come scrive Bonami in Domus Arte web http://www.domusweb.it/it/arte/2008/06/06/gregor-schneider.html
"La sua casa potrebbe ricordare un covo terrorista, come l'infame "prigione del popolo" delle Brigate Rosse in cui il gruppo terrorista tenne prigioniero per 55 giorni il leader della Democrazia Cristiana Aldo Moro nel 1978, prima di assassinarlo. Ma in modo più strisciante Schneider gioca sulla nostra società zoppicante e sulla sua invisibile psicopatologia. Le immagini della cella sotterranea priva di finestre, in cui la giovane austriaca Natascha Kampusch fu tenuta prigioniera per otto anni da Wolfgang Priklopil dal 1998 al 2006, mostrano un'agghiacciante somiglianza con gli spazi scultorei di Gregor Schneider". Tant'è vero che nella sua mostra Double al Macro di Roma nel 2005 ha ricreato una  cella di isolamento presa a modello dalle celle di sicurezza del Campo V del carcere di Guantànamo di Cuba - ambiente che rientra nella sua ossessione per gli spazi sociali.



Giuseppe Maria Crespi, La donna che lava i piatti , 1635 ca
Al Macro si è vista una parziale ricostruzione di "Die familie Schneider" che aveva realizzato  presso Artangel di Londra, un percorso simmetrico in cui una donna-madre lavava i piatti senza sosta, un padre che si masturbava dietro la tenda di una doccia e un bambino stava con una busta di plastica nera in testa, ambientata in una casa popolare inglese mostrata in ogni minimo, terrificante dettaglio. Come scrive Ulrich Loock in  http://www.artplaces.org/2011/06/gregor-schneider-dieci-anni-dopo/  , " L’elemento davvero inquietante di questo lavoro non è il devastante ritratto del nucleo familiare che porta il cognome dell’artista, ma piuttosto il fatto che questa famiglia e le sue azioni vengano replicate in forma identica in un edificio adiacente – e per realizzare il lavoro, l’artista ha addirittura reclutato dei gemelli" : l'installazione era infatti una messa in scena realizzata in due case nell'East End di Londra,  al  14 e 16 di Walden Street. Le due case erano identiche in ogni dettaglio:  avevano le stesse stanze e gli arredi con le stesse crepe e macchie, abitate dalle stesse famiglie che facevano le stesse azioni ossessive.

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